Addio a Sholmo Venezia - ZIP Rivista Letteraria per i Giovani

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Addio a Sholmo Venezia


Addio Shlomo Venezia!

di Laura Micale


01 ott 2012 ROMA – Ci ha lasciati Sholmo Venezia. Italiano di origine ebraica, nato a Salonicco nel 1923, è stato testimone dell’Olocausto, ha raccontato quello che i suoi occhi sono stati costretti a vedere, quello che le sue mani sono state costrette a fare: è stato obbligato a far parte dei Sonderkommando, delle “unità speciali”, adoperate allo smaltimento dei corpi dei deportati uccisi nelle camere a gas.
Shlomo Venezia è stato arrestato e deportato nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau nel 1944, era il numero 182727. Dei membri di queste squadre sono sopravvissuti una dozzina di persone in tutto il mondo, Shlomo è stato l’unico in Italia. Per mantenere il segreto dello sterminio, infatti, periodicamente i Sonderkommando venivano uccisi.
E’ contro ogni negazionismo che si deve ricordare! Quest’uomo è stato un importante testimone della Shoah, ecco alcune sue parole:
“Altre volte mi hanno chiesto, per esempio, se qualcuno sia mai rimasto vivo nella camera a gas. Era difficilissimo, eppure una volta è rimasta una persona viva. Era un bambino di circa due mesi. All'improvviso, dopo che hanno aperto la porta e messo in funzione i ventilatori per togliere l'odore tremendo del gas e di tutte quelle persone - perché quella morte era molto sofferta - uno di quelli che estraeva i cadaveri ha detto: “Ho sentito un rumore”. Normalmente quando uno muore, dopo un po' finché non si assesta, il corpo ha dentro dell'aria e fa qualche rumore. Abbiamo detto: “Questo poverino, in mezzo a tutti questi morti, comincia a perdere il lume della ragione”. Dopo una decina di minuti ha sentito di nuovo. Abbiamo detto: “Tutti fermi, non vi muovete”, ma non abbiamo sentito niente e abbiamo continuato a lavorare. Quando ha sentito di nuovo, ho detto: “Possibile che senta solo lui? Allora fermiamoci un po' di più e vediamo cosa succede”. Infatti, abbiamo sentito quasi tutti un vagito da lontano. Allora uno di noi sale sui corpi per arrivare laddove veniva il rumore e si ferma dove si sente più forte. Va vicino e, insomma, là c'era la mamma che stava allattando questo bambino. La mamma era morta e il bambino era attaccato al seno della mamma. Finché riusciva a succhiare stava tranquillo. Quando non è arrivato più niente si è messo a piangere - si sa che i bambini piangono quando hanno fame. Il bambino era quindi vivo e noi l'abbiamo preso e portato fuori, ma ormai era condannato. C'era l'SS tutto contento: “Portatelo, portatelo”. Come un cacciatore, era contento di poter prendere il suo fucile ad aria compressa, uno sparo alla bocca e il bambino ha fatto la fine della mamma. Questo è successo una volta in quella camera a gas. Ci sono tanti racconti, ma io non racconto mai cose che hanno visto gli altri e non io.”

E’ difficile e atroce riportare alla mente quei terribili giorni di prigionia, durante i quali Shlomo è stato costretto a svolgere uno dei più atroci compiti mentre il suo unico desiderio era quello di morire insieme ai suoi compagni di sventura.
Nel 2007 ha raccontato la sua sofferenza in un libro, “Sonderkommando Auschwitz”, una testimonianza molto coraggiosa e dolorosa, soprattutto perché il senso di colpa, custodito a lungo nel suo cuore lapidato da quei crimini commessi suo malgrado, deve essere stato immenso.
Queste squadre speciali sono state un’arma a doppio taglio, farne parte  fu una punizione peggiore della morte. Come disse Primo Levi, idearle e organizzarle fu un crimine ancor più grave in quanto si scaricarò parte della responsabilità dello sterminio sulle stesse vittime, logorate e devastate dai sensi di colpa.
Primo Levi fu uno scrittore di origine ebraica, deportato anch’egli nel campo di concentramento di Monowitz di cui ha raccontato le atrocità in numerosi scritti come in “Se questo è un uomo”.
Sue sono parole toccanti che lasciano il magone in gola:
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
Numerosi sono i messaggi di cordoglio giunti da tutto il mondo per Shlomo Venezia. Ad essi si aggiunge il nostro, per non dimenticare!

 
 
 
 
 
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