Buoni propositi per il nuovo anno: Dialogo di un venditore di almanacchi - ZIP Rivista Letteraria per i Giovani

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Buoni propositi per il nuovo anno: Dialogo di un venditore di almanacchi


E' tempo di un nuovo anno

tra buoni propositi e rinnovate speranze...

di Angela Mirabile


La fine del mondo è passata. Forse è solo rinviata, o forse non ci sarà mai, nel senso che non finirà il mondo nello stesso istante e nemmeno diviso per fusi orari, come alcuni avevano provocatoriamente presupposto.
Adesso, sperando che non abbiate dato fondo a tutti i vostri risparmi in doverose tasse o in pazzie da vigilia della fine del mondo, avrete sicuramente avuto il tempo di dedicarvi ai propositi per l’anno nuovo, nonché ai bilanci sull’anno trascorso.
I bilanci sono sempre pesanti da fare. Qualunque cosa si sia fatto apparirà sempre inferiore a quello che si sarebbe potuto fare. E dunque torna il tempo di meditare nuovi propositi. Il primo e immancabile è iniziare la dieta a partire dal sette gennaio per perdere il peso che si è accumulato durante il periodo natalizio.
E poi cominciano gli altri propositi: quelli più difficili e duri da portare a termine; trovare lavoro, trovare l’amore perfetto, laurearsi, cambiare il mondo, e chi più ne ha più ne metta. Ma prima di tutto, quello che vogliamo davvero è essere felici. Vogliamo che il nuovo anno sia migliore di quello che ci siamo appena buttati alle spalle. E carichiamo su di lui tutte le nostre aspettative, entrando sempre in quel circolo vizioso che entro 365 giorni ci porterà a buttare via l’anno vecchio e inneggiare pieni di speranza ad uno nuovo.
Così, ogni anno con questo auspicio rincorriamo un futuro che, sede di tutte le nostre speranze, potrà risolvere e dare una risposta alle domande che inquietano il nostro presente.
Passeggere: “Oh che vita vorreste voi dunque?” Venditore: “Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti.” Passeggere: “Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell’anno nuovo?” Venditore: “Appunto.”
Non sto riportando nessun episodio di cui io sia stata testimone, né tantomeno sto inventando una bella storia. Ho solamente ricopiato un passo di una delle Operette morali di Giacomo Leopardi.
Il titolo “Dialogo tra un venditore d’almanacchi e un passeggere”. In quest’opera impostata in forma di dialoghi, il poeta immagina delle conversazioni più o meno verosimili tra uomini veramente esistiti o inventati, per potere affrontare tematiche che non sono altro che i pilastri del suo pensiero e dei suoi più famosi idilli.
Nel dialogo in questione si affronta il tema dell’anno nuovo, traendo spunto da un verosimile momento di vita vissuta. Un uomo di passaggio, si ferma ad una bancarella per comprare un calendario.  Egli, tuttavia, non si accontenta di scegliere e comprare solo il calendario che più gli piace, ma inizia una conversazione con il venditore. Ci troviamo immediatamente proiettati in un rapido susseguirsi di domande e risposte dove il passeggere incalza il suo interlocutore. L’anno nuovo sarà migliore di quello passato, è fuori di dubbio. Ma gli anni precedenti sono stati più o meno felici? E se sì, dunque, a quale di questi dovrebbe somigliare quello venturo? Ma simili domande mettono in difficoltà il povero venditore che non sa cosa rispondere.  
La recondita speranza è che l’anno nuovo superi in ricchezza, felicità e salute quello precedente. Ma non c’è nessun anno che si vorrebbe rivivere, non c’è nessun passato che riesca a soddisfare la necessità di nuovo che ha il venditore, così come tutti gli uomini.
Le aspettative migliori risiedono proprio nell’anno nuovo di zecca, ancora da vivere, come se fosse una pagina bianca, su cui poter ricominciare a scrivere. Il venditore si rimette alla volontà di Dio e a ciò che gli verrà assegnato in sorte. Il passeggere, che sembra essere per certi versi lo stesso Leopardi, nel passo riportato, precisa, con sottile ironia, che, pertanto, la vita che il venditore si aspetta è una vita a caso, figlia dell’aspettativa del futuro ignoto.
In fondo il tema principe del dialogo non è altro che quello dell’attesa. Ancora una volta il poeta ribadisce come sia proprio l’attesa a rendere così intrigante e desiderato il dopo, l’anno nuovo nel caso specifico: è una declinazione di quel futuro che appare come un’oasi felice, un salto nel vuoto di cui, tuttavia, non si può fare a meno di sentirne il bisogno. Si tratta della necessità di un nuovo inizio, che colma il vuoto di una fine e che dà l’illusione di potersi giocare un’altra chance. Ed ecco che si innesta il solito circolo vizioso dei propositi e dei nuovi progetti. Poco importa se di anno in anno questi propositi siano gli stessi, rinnovati o riciclati.
Il dialogo si svolge su due distinti piani ideali. Sul primo ritroviamo il passeggere, disincantato rispetto alle speranze di un nuovo inizio; sul secondo, invece, c’è il venditore che ha fiducia che ciò che verrà sarà migliore, indipendentemente dalla realizzazione o meno delle passate aspettative: è nuovo e, per questo, diverso da tutti gli altri.
Siamo un po’ tutti il passeggere. Anche noi siamo disillusi, nella misura in cui siamo consapevoli che non ci sia nessuna fine e nessun ennesimo inizio: solo l’uno che si fonde nell’altro, in una continua prosecuzione.
Ma in fondo, almeno una volta all’anno, è piacevole conservare quel pizzico di cieca fiducia che dimostra il venditore verso il nuovo, abbandonandosi alla miriade di possibilità che si possono incontrare e far avverare.
Pertanto auguri di buon anno cari lettori. Che sia ricco delle opportunità e delle buone occasioni che ognuno attende.  


 
 
 
 
 
 
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