Il barone rampante - la metafora e i giovani - ZIP Rivista Letteraria per i Giovani

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Il barone rampante - la metafora e i giovani


La Metafora del "Barone rampante" e i giovani
Come Cosimo saltiamo tra i rami, in cerca di un equilibrio precario.

di Giulia Lionetto Civa


Per Cosimo Piovasco barone di Rondò tutto inizia il 15 di giugno del 1767 quando, in spregio alle regole della casa paterna, decide di trasferirsi sugli alberi e di non mettere mai più piede sulla terra. Da quel momento diventa “il barone rampante”, un uomo che vive, mangia e dorme arrampicato sui tronchi. Qui, Cosimo crea a poco a poco il suo mondo: trova dapprima un rifugio, un otre sospeso, in cui dormire; col tempo si costruisce una capanna, una doccia, una biblioteca pensile… impara a cacciare, intreccia relazioni e scambi con i contadini delle campagne e si emancipa gradatamente dal sostentamento familiare. Studia con voracità: in poco tempo ne sa più del suo vecchio istitutore. Stabilisce le regole del suo mondo e le norme di comportamento, sovrapponibili a quelli della terra ma meno rigide e più precarie come la sua esistenza. Cosimo non vive da eremita, non tronca le relazioni con la sua famiglia o con il villaggio: si limita a vivere una spanna sopra di loro. Buona parte delle sue energie, è costretto a impiegarle nel garantirsi la sopravvivenza, nel dare una forma e una parvenza di stabilità a quella nuova realtà in cui gli è toccato di vivere.
Si è molto discusso sulla metafora e sul significato di questo romanzo, apparentemente quasi una fiaba per bambini, di Italo Calvino. L’ipotesi più accreditata scorge nella figura di Cosimo una metafora della condizione dell’intellettuale.  
Quale che sia il significato simbolico che Calvino volesse dare al suo personaggio, colpisce quanto somigli a certi giovani d’oggi, “fuggiti” da una realtà che non comprendono, che non li comprende, verso un mondo immaginato e fantastico tutto da ricreare.
Siamo i ragazzi dell’era telematica, “arrampicati” davanti ai nostri pc: da lì abbiamo uno sguardo privilegiato sul mondo, sui fatti. Viviamo una realtà virtuale organizzata secondo meccanismi nuovi, che in parte noi stessi abbiamo costruito. La nostra vita “in cima ad un albero” ci offre un orizzonte illimitato, uno sguardo sulla realtà più ampio di quello dei nostri padri. La nostra “biblioteca sospesa” è illimitata e dalla nostra posizione privilegiata intrecciamo relazioni, abbiamo contatti impensabili per chi vive saldamente ancorato alla terra. Eppure la nostra esistenza è bizzarra, incompiuta, costantemente precaria. Saltiamo da un lavoro a un altro, in cerca di equilibrio, come Cosimo sui rami; impieghiamo forze ed energie sovrumane per cercare di stabilizzare la nostra posizione, ben sapendo di poterla rendere meno precaria ma mai del tutto stabile. Sui nostri alberi, incontriamo l’amore ma come Cosimo non possiamo sposarci. In fondo, tutte le cose che abbiamo letto, che abbiamo studiato e appreso, ci rendono più colti, più informati ma non bastano a rendere piena e a normalizzare la nostra esistenza.  E mentre alcuni tra i nostri padri ci guardano straniti, come se la colpa di questa vita bizzarra fosse davvero tutta e solo nostra, altri, come la madre di Cosimo, finiscono per rassegnarsi e cercarvi una parvenza di normalità.
Qualche volta, guardiamo le finestre illuminate della nostra vecchia casa e ci verrebbe voglia di scendere, di tornare nel mondo accogliente della nostra infanzia. La verità è che, per puntiglio o per forza, dobbiamo aggrapparci a quei tronchi su cui non si riesce a diventare adulti del tutto ma che non è nemmeno possibile lasciare e tornare bambini.



 
 
 
 
 
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